Lungo i Passi di Celestino V
Lungo i Passi di Celestino V
TAPPA NUMERO 17:
TAPPA NUMERO 17:
Santa Maria di Collemaggio – L’Aquila
Santa Maria di Collemaggio è la chiesa-simbolo dell’Aquila, il più noto ed eletto esemplare, in Italia, dell’architettura aquilana ed abruzzese. Per la sua peculiare storia e secolare vicenda architettonica negli ultimi decenni ha anche attirato l’attenzione di pubblicisti ed esoterici, mancando di poco, secondo altri, a diventare il Santuario mariano d’Italia invece di quello lauretano nelle Marche. Ciò sull’ipotesi, ancora inverificabile, che le Pietre della santa Casa di Nazareth in origine sarebbero state intese destinate a papa Celestino V per Collemaggio, ma poi, egli dimessosi dal papato il 13 dicembre 1294, dirottate a Loreto dal marchigiano Vicario papale a Roma e vescovo di Recanati, Salvo.
Il testo agiografico quattrocentesco della biblioteca dell’Arsenal di Parigi narra in questi termini la fondazione della basilica:
«Bisogna sapere che quando una volta il beato Pietro padre nostro ritornava dalla curia del signor papa con la conferma del suo ordine sotto la regola del beato Benedetto, una notte dormì fuori le mura della città dell’Aquila presso il luogo detto Collemaggio. E quella notte vide una scala eretta dall’altare posto nel detto luogo di Collemaggio fino al cielo e su di essa gli angeli che salivano e scendevano; e sulla sommità la beata Maria Vergine tra gli angeli, che gli disse di costruire in quel luogo una chiesa in onore della stessa beata Vergine, cosa che egli fece. Infatti l’indomani si diresse nel suo cammino ai suoi frati in Santo Spirito di Maiella, da lì mandò due di questi frati all’Aquila, perché comprassero quel luogo di Collemaggio, cosa che fecero. E dopo un po’ fu edificata lì, nel luogo in cui era stata vista la scala, la chiesa con la cappella in onore della stessa beata Vergine, che fino ad oggi il popolo ha in grande devozione e riverenza. Poi a poco a poco furono costruiti il monastero e gli edifici; e soprattutto dopo la traslazione del suo corpo la chiesa fu ampliata e fatta grande, come è adesso».
Visita della chiesa
Oggi il grande complesso architettonico, formato dalla lunga volumetria della basilica e, addossato sul suo lato Sud, dal quadrilatero monasteriale, si eleva sulla scarpata di Collemaggio che scende verso il fiume Aterno. Il grande edificio sacro dopo le plurime tormentate vicende costruttive, ricostruttive e di trasformazione succedutesi nel corso dei secoli – l’ultima in ordine di tempo, la ricostruzione post-sismica 2015-2017 – si presenta nella tipologia d’impianto architettonico impostasi all’Aquila dal ’200 a metà ‘400: innesto di due corpi spaziali contrapposti, uno longitudinale, a navata unica o a tre, l’altro trasversale, più alto ed ampio e conchiuso in una, tre od anche cinque absidi. A Collemaggio oggi si tratta di un lunghissimo organismo trinavato, tramezzato da un transetto spezzato, cioè coi bracci più bassi della copertura longitudinale centrale, e terminato in tre absidi, la maggiore inusualmente allungata e voltata a crociere costolonate, a pianta semiottagonale all’interno e rettilinea all’esterno, e le laterali, coperte da calotte cupolari, a pianta quadra all’interno e poligonale, in parte, all’esterno. Il contenitore murario si ostenta nelle sue varie stratificazioni di paramento, in una eterogeneità formale che riflette plasticamente, documentandole, le tormentate vicende subite dalla fabbrica nel corso dei secoli a causa dei ricorrenti terremoti – nel 1315, 1349, 1461, 1703 e 2009 i maggiori – e le successive ricostruzioni e reinterpretazioni stilistiche. La fascia inferiore del fianco meridionale è in robusta pietra concia e, sopra, in conci di minori dimensioni, mentre quella inferiore del fianco settentrionale è nel paramento di apparecchio aquilano medioevale a regolari filari di piccoli conci squadrati (foto con la porta Santa), entrambe denunciandosi essere le fasce murarie laterali delle origini. Le sovrastanti murature di entrambi i lati includenti le monofore si vedono conteste in un apparecchio aquilano diluito, frutto della ricostruzione post-sismica quattrocentesca. Gli ultimi disadorni strati murari superiori mostrano le nude forme sia della ricostruzione settecentesca sia dei rialzamenti attuati nel noto discusso ‘ripristino’ attuato dal Soprintendente Mario Moretti nel 1970-72. La facciata e, all’opposto, le due absidi minori semiottagonali, si rivestono di levigata pietra concia gentile – l’abside settentrionale del beato Bassand lo è solo fino ad una certa altezza, sottotetto, mentre sopratetto emerge a pianta quadra e muratura informe settecentesca. Il bastione absidale di centro infine, e le facce della sacrestia ad essa addossata, si rivestono di cortina in conci ben squadrati di ‘travertino’ aquilano.
CONFIGURAZIONE ESTERNA: LA FACCIATA
La prima immagine che della basilica si ha, all’esterno è il suo splendido bicromato prospetto. Il capolavoro che oggi si ammira sfolgora nelle basole bianche e rosse del disegno compositivo a trapunto di croci e rombi – è la sua più appariscente novità rispetto alle altre facciate cittadine sia anteriori che successive – e nei tre solenni decoratissimi portali, i ricami scultorei dei capitelli e dei tabernacoli cuspidati di quello centrale, nonché le trine dei trafori dei tre rosoni: meraviglioso fondale scenico della spianata il quale, tra verdi abetaie, pare nascere dal verde del prato. Colpisce il tradizionale schema decisamente orizzontale di terminazione primo-quattrocentesca che assurge ad archetipo delle fronti chiesastiche aquilane, precedenti e successive. A differenza di esempi in altre città, la particolarità aquilana è che mentre altrove è un’eccezione nella regola, qui dal XIII-XIV secolo è regola con solo qualche eccezione, costituendo la caratteristica individuante dell’architettura religiosa aquilana ed il maggior contributo di essa all’architettura sacra italiana. Uno schema, uno stilema, lavorato fino a farne anche strumento di conoscenza simbolica: esso ripropone il binomio cerchio/quadrato quale rappresentazione del cielo e della terra, ancestrale complesso simbolico di carattere cosmico e segno dell’incontro fra il trascendente e l’immanente, e allude al mistero dell’unità e della trinità di Dio nel disegno unitario dell’ordine inferiore, rispetto al superiore tripartito da lesene. Sorprende il fatto che all’Aquila, lo schema squadrato di facciata, venga proposto nei secc. XIII-XIV, nel momento stesso, cioè, del pieno trionfo del verticalismo delle cattedrali gotiche del Nord Europa. Non si tratta per inerzia, di uno stilema attardato sul passato romanico da parte dei nostri mastri ed artisti, bensì di una scelta intenzionale, riflettente cioè una concezione di vita, in Italia, più confacente, sul piano filosofico, alla visione realista di Aristotele e, sul piano teologico, a quanto sopra accennato, la categoria evangelica cioè dell’incarnazione: attraverso proporzioni equilibrate e serene delle masse murarie ancorate alla terra, essa tende, con S. Francesco d’Assisi, a valorizzare le creature, non ad alienare la realtà terrena. Il quadrante architettonico – il più sontuoso tra quelli delle altre fronti cittadine e regionali, esemplificando schemi di facciate chiesastiche complesse, come quella, ma più tarda, del duomo di Todi – è definito da robuste lesene d’angolo e all’ordine superiore dalle due intermedie che inquadrano il rosone maggiore, dall’elaborata zoccolatura di base, il coronamento orizzontale in cima e, al centro, dal massiccio cornicione a mensole e sottocornici con, a questo simmetrico, il sottostante motivo decorativo bicolore a tasselli di ceramica che lo accompagna e si arcua all’incontro con l’archivolto del portale maggiore. La massività del cornicione mediano può apparire sovradimensionata rispetto al disegno generale: essa si giustifica tenendo presente che dal 1508 in cui verosimilmente il cornicione fu realizzato e fino agli anni Trenta del ‘900 esso doveva supportare la bella balaustrata in ferro battuto che, avendo la funzione di balconata per la tradizionale ostensione, dall’angolo Nord, delle sante reliquie, in un primo momento fu traslata a terra davanti alla facciata e poi trasferita a chiudere la Fontana delle 99 Cannelle, dove ancora si trova. Sul lato destro la coloristica muraglia aggancia, formando con esso un tutt’uno compositivo nonostante il contrasto tra i rispettivi paramenti lapidei, il singolare torrione ottagonale, preesistente alla basilica e coronato, all’altezza del cornicione grande, da elaborato, bicolore parapetto sbalzante su beccatelli ad archetti sia ogivali che a pieno centro – sul parapetto in parola è affisso lo stemma di Giovanni di Pietro Rivera, il committente che nel secondo ’200 lo avrebbe fatto solennizzare col rivestire in pietra squadrata il primitivo torrione e poi i suoi discendenti (nel ’400 un suo omonimo, nel 1511 don Apollonio Bucciarelli, figlio di un altro Giovanni Pietro Rivera, allo scopo assegnando 30 fiorini) – abbellire dell’elegante apparato a sporgere predetto. Il disegno architettonico dei portali – il centrale chiuso da infissi lignei del 1688 a corposi intagli barocchi, i laterali pure da infissi lignei ma ancora a chioderia medioevale – è di tipo lombardo neo-romanico, a stipiti rientranti con colonnine cantonali negli sguanci ed architravi coronati da archivolti e lunette su cui, in forma di cordoni lisci o a tortiglione continuano concentricamente le colonnine delle pilastrate. Ognuno di essi è commentato ai lati da due mensole, di cui alcune su cariatidi duecentesche ad autorevole parere di Ferdinando Bologna: una reca un motivo d’origine franco-inglese, il volto d’uomo dalla lunga barba, e tre recano l’inconsueta idea figurativa della mano pensile a dita aperte a sostenere la mensola, che si ritrova nella appunto duecentesca basilica di Assisi. Esse sostenevano statute di santi, di cui in situ ne resta una sola sulla prima a sinistra, ed altre tre si trovano nel Museo Nazionale aquilano, raffiguranti San Pietro Celestino, Madonna con Bambino e Santa Maria Maddalena, tutte di tardo ‘400. Le lunette dei tre portali recano affreschi del ‘700: la centrale raffigura una Madonna e Bambino con Angeli, quella a manca un San Pietro Celestino e quella a dritta un San Benedetto. Nei due portali minori pilastri aggettanti dalla muraglia prendono il posto delle colonnine frontali che usualmente nei portali medioevali abruzzesi si pongono a supporto degli archivolti sporgenti. Nel loro disegno architettonico e nei partiti decorativi sono diversi tra loro, giacché quello a sinistra ha i pilastri frontali fiancheggiati all’esterno da colonnine e, quanto ad ornamentazione scultorea, ha il festone dell’archivolto in forma di candeliera quello a destra non ha le colonnine esterne e la decorazione si esprime in fasci di viticci e figure sul festone dell’archivolto, quasi esattamente che nella Porta Santa. Nel portale maggiore invece, a supporto dell’enorme multiplo archivolto, spartito da cordoni a tortiglione e con nella cornice esterna fasci di viticci e fi gure, nonché teorie di angeli contornanti la lunetta con al sommo lo Spirito Santo in quella interna, al posto dei consueti fasci di colonnine cantonali si afferma una forma architettonica più unica che rara: piedritti a spalle articolate in due ordini di tabernacoli, oggi quasi tutti privi delle statuine di santi che essi ospitavano, disposti su di una zona basamentale a formelle di grandi fi ori quadri o di dischi in rilievo, attorno dispiegandosi tutta una minuscola architettura gotica fatta di edicole per statuine – 7 per ordine, 14 a destra e 14 a sinistra, ammontanti al numero forse simbolico di 28 – di colonnine cilindriche ed a spirale, a tortiglione ed a scaletta, e di pinnacoli e timpani cuspidati ricchi di fogliame rampante. Quanto ai rosoni, distribuiti su una tripartizione decorativa asimmetrica che attribuisce maggior spazio alla banda destra rispetto alla sinistra, quello di destra ha traforo romanico tipo i rosoni primo-trecenteschi di San Silvestro e di Santa Maria del Guasto in città, quelli di sinistra e di centro hanno trafori goticissimi nelle elaborate forme degli archetti a chiglia dei trafori, ad arcatelle rovesce internamente bipartite in altre arcatelle trilobate e, per la ruota minore di sinistra, a 12 raggi. Di quest’ultima si noti l’evidente cultura francese nel tormentoso fogliame della mostra e nell’organismo di chiusura. Invece nel rosone centrale, dal diametro esterno di ben 5 metri e con raddoppio a 24 dei raggi della ruota, caso unico in Abruzzo, nonostante la ripresa del concetto delle arcatelle trilobe a chiglia, con aggiunta di un tortiglione a scaletta sulla vibrante mostra, si denuncia un gotico fiammeggiante ma con tipo di fogliame meno francese e più locale.
APPROFONDIMENTI
Testo di Antonio Di Stefano e Monsignor Orlando Antonini