Lungo i Passi di Celestino V
TAPPA NUMERO 15:

La Chiesa di S. Pietro Celestino di Pratola Peligna (AQ)

L’elezione a papa di fra Pietro del Morrone fu di grande importanza anche per Pratola poiché con il provvedimento solenne del Re Carlo II, assunto il 30 settembre 1294 a seguito di richiesta specifica di Celestino V, il Castrum Pratularum o Pratulae fu assegnato in feudo alla Badia di S. Spirito del Morrone fondata dallo stesso richiedente.

La foto è stata gentilmente concessa da Rocco Spinetta, maggio 2023

Prospetto principale della chiesa di San Pietro Celestino nel rione Dentro la Terra originariamente Castrum Pratularum o Pratulae.

La foto è stata gentilmente concessa da Rocco Spinetta, maggio 2023

Stemma lapideo trecentesco dei Celestini rappresentato da uno scudo in cui risalta il serpente sviluppato a forma di S (Santo Spirito) che si intreccia al bastone del potere abbaziale. L’emblema è posto nell’arco murario in cui era posizionata la vecchia porta di accesso al Castrum Pratularum.

L’atto solenne del re Carlo II porta la data del 20 settembre 1294; esso seguì altri provvedimenti assunti dallo stesso re angioino nei mesi precedenti.
Difatti, il re già il 22 luglio, a pochi giorni dalla elezione a Papa di Pietro del Morrone avvenuta, come detto, il 5 luglio, aveva concesso il Castrum Pratularum alla Badia di S. Spirito, come nelle volontà del Papa.
Pratola era giuridicamente e istituzionalmente posseduto da Restaino Cantelmo di Popoli, figlio di Giacomo, uno dei tanti cavalieri scesi in Italia in cerca di fortuna al seguito di Carlo I D’Angiò. Giacomo aveva avuto Pratola come feudo nel 1278 con gli stessi connotati giuridici di tutte le altre concessioni che i monarchi facevano ai feudatari, niente di più e di diverso, niente di straordinario. Il re concedeva ai feudatari alcuni importanti diritti sul territorio ma non spogliava mai le Università che avevano altri importanti diritti.
Ne consegue che il Cantelmo aveva una funzione istituzionale e amministrativa con compiti prettamente legati al governo del territorio, quali la riscossione delle tasse (in particolare la cosiddetta adoa), la nomina dei giudici, dei governatori e delle altre autorità pubbliche, e la gestione e l’amministrazione della giustizia civile e penale; ciò è dimostrato dal fatto che allora esistevano a Pratola altri numerosi proprietari di feudi di cui tanti residenti in altre città.
Invece la cessione ai Celestini fu un fenomeno quasi unico nello scenario istituzionale e politico di allora. Pratola, ceduta ai Celestini come feudo non era un territorio vuoto e disabitato, con terreni da bonificare e risanare, con opere collettive tutte da realizzare: né era un terreno montuoso arido e di scarsa accessibilità. Pratola era un castro ben definito e abitato, con una amministrazione cittadina e una normale organizzazione civile e sociale come l’epoca consentiva.
I Celestini, proprio per il contenuto del diploma reale, ritennero che Pratola fosse in tutto e per tutto un loro feudo e di conseguenza tutte le proprietà ivi esistenti dovevano ricondursi alla loro potestà, riducendo i Pratolani a soli assegnatari, concessionari o livellari di terreni e immobili, benché posseduti da loro da tanto tempo e da tante generazioni.
Su questi aspetti legati alle caratteristiche del feudo si svilupperà per secoli un lungo contenzioso legale che terrà impegnati l’Università di Pratola e la Badia di S. Spirito del Morrone per diversi secoli.
Tornando a Restaino Cantelmo di Popoli, si presume che sia stato costretto dall’autorità del re a cedere il Castrum Pratularum, tanto è vero che pretese, per detta cessione, la somma di sessanta once e la condizione che restasse a lui l’imperio sulle cause penali che prevedevano la pena di morte o la mutilazione.
Il primo provvedimento del re, che, si ripete, fu assunto il 22 luglio 1294, ebbe bisogno di altri atti imperativi ai fini della concreta concessione ai Celestini. Difatti, il 3 agosto il re ordinò al giudice Bartolomeo de Galgano di Sulmona di curare l’assegnazione del feudo; il 12 dello stesso mese il giudice, recatosi a Pratola, provvide ad assegnare a Fra Onofrio, abate di S. Spirito, il castrum, previo giuramento di fedeltà e di obbedienza degli uomini ivi residenti.
La situazione non doveva essere chiara e certa perché re Carlo II fu costretto ad intervenire di nuovo il 20 settembre 1294 con il richiamato solenne provvedimento.
Non si legge dagli atti il motivo di questa seconda assegnazione.
Lo stesso re adottò, l’8 dicembre 1294, altro diploma per comandare ai giustizieri dell’Abruzzo di tenere immuni da ogni esazione gli attuali abitanti di Pratola; invece il 16 dello stesso mese, si rivolse sempre ai giustizieri dell’Abruzzo dichiarando che i nobili e gli altri possessori dei beni feudali in Pratola erano tenuti a prestare i consueti servizi al monastero di S. Spirito del Morrone.
Sembrerebbe che il re avesse voluto esonerare i cittadini pratolani dal pagamento di ogni tributo dovuto alla Stato, lasciando tale dovere ai feudatari. Comunque, i contadini di Pratola dovevano versare alla Badia altri tributi feudali quali lo ius habitationes, le corveè, le decime e altre tasse.
Perché il re Carlo ebbe bisogno di assumere più atti per chiarire gli aspetti giuridici della concessione? In particolare, perché si rese necessario un secondo atto di assegnazione? Si può arguire che la concessione non fu bene accolta dai cittadini, in particolare da circa venticinque feudatari, in gran parte forestieri, che trovarono modo di manifestare il loro disappunto e dissenso.
Nel frattempo il Papa Celestino V, con bolla del 13 novembre 1294, qualche giorno prima della sua rinuncia al papato, dichiarando nulla la donazione delle chiese di S. Giovanni, S. Angelo della Valle, S. Cesidio e S. Maria de Azimis esistenti a Pratola fatta dal defunto miles Andrea di Brancaleone al priore e ai frati dell’ospedale di S. Giovanni dei Gerosolimitani di Raiano, aggregò le dette chiese e le altre esistenti a Pratola, con tutte le loro pertinenze, le spettanze e i diritti, al monastero S. Spirito di Sulmona, esentandole dalla giurisdizione del vescovo e rendendole soggette solo alla Chiesa Romana.
La concessione di Pratola fu uno dei momenti più importanti della storia della Congregazione Celestiniana, poiché consentì ad essa di iniziare l’ irreversibile processo di costruzione di una vera e propria signoria feudale.
Il Castrum Pratularum aveva una vocazione spiccatamente agricola per la sua felice posizione nella Valle Peligna. I fertili e assolati terreni che formavano il suo esteso tenimento consentivano una ottima produzione agricola. I Celestini, quindi, non solo vedevano con favore l’acquisizione dei feudi pratolani, ma miravano che tutto il paese diventasse un feudo della Congregazione; e, infatti, così avvenne.
Perciò fu quasi una soluzione annunciata e direi naturale che il novello Papa, immediatamente dopo la sua elezione, chiedesse a Carlo II il Castrum Pratularum come feudo assoluto.
Sono stati messi in evidenza solo alcuni punti controversi insiti nell’atto di concessione di Pratola ai Celestini; essi portarono al lungo contenzioso chiuso con la soppressione della Congregazione avvenuta nel 1807. Comunque, anche se i Pratolani subirono pesantemente la dominazione della Badia di S. Spirito del Morrone, essi amarono prima e venerarono poi Fra Pietro, tanto è vero che gli dedicarono la loro chiesa matrice e la parrocchia.
Il culto della Madonna della Libera, sviluppatosi dopo il fatto miracoloso del 1540, fu una conseguenza dell’amore e della devozione che frate Pietro aveva verso la Madonna. Egli aveva edificato la chiesa di Santa Maria ai piedi del Morrone, dove venne poi realizzata l’Abbazia. Lo stesso Fra Pietro realizzò nella città di Campobasso uno dei suoi monasteri, accanto al quale i Celestini nel 1320, prima che venisse introdotto il culto della Madonna della Libera a Pratola,
costruirono la Chiesa di Santa Maria della Libera.

La chiesa di S. Pietro Celestino

E’ la più antica di Pratola Peligna.
La mancanza di fonti documentali e storiche non consente di conoscere l’anno o l’epoca della sua costruzione. Non può, certamente, essere di aiuto la data – anno 1543 – riportata sul fonte battesimale perché essa si riferisce, certamente, alla costruzione o ricostruzione dello stesso.
Alcuni indizi, invece, possono essere utili per dimostrare che la costruzione della chiesa sia avvenuta, comunque, prima della santificazione di Papa Celestino V del 5 maggio 1313.
Come nota la dott.ssa Enrichetta Santilli in uno dei suoi studi, sulla facciata della chiesa, fino ai primi anni del Novecento era murata una pietra ove era scritto, a carattere gotico, che Gualtiero d’Ocre, vescovo di Valva, aveva fatto erigere l’opera nel 1228.
L’esistenza a tale data della chiesa può trovare conferma in un’altra circostanza e cioè nel rinvenimento, a pochi metri dalla stessa, di un architrave, poggiato su una vecchia porta di accesso ad un fabbricato a due piani, nel quale sono visibili simboli dei frati benedettini che prima dei Celestini avevano la titolarità della parrocchia.
Se si aggiunge, infine, che è stata posta nel castrum, è verosimile che la chiesa sia stata eretta diversi anni prima della santificazione di Celestino V.
Certamente, essa è stata oggetto di interventi nel corso degli anni, considerato come oggi si presenta.
La facciata della chiesa ha forma rettangolare ed è in stile romanico umbro-abruzzese.
L’accesso alla chiesa è costituito da un portale in pietra lavorata, chiuso da un portone ligneo nel quale si legge la data della sua realizzazione (1848) e del suo autore pratolano Pelino Lucci, incorniciato da due stipiti laterali, dall’architrave e da una lunetta.
Gli stipiti laterali sono colonne ioniche con capitelli decorati, quello di destra con un’aquila e quello di sinistra con un angelo, simboli, questi, del potere temporale e spirituale dei Celestini.
Sulle colonne poggia l’architrave in pietra con bassorilievi di fiori e foglie, al centro un busto di Celestino V con tiara e bastone pastorale, affiancato da due angeli che sembrano sollevare il busto quasi volessero portarlo in cielo. Chiude la lunetta, poggiata sull’architrave, in pietra scanalata con ai lati due mattonelle, pure in pietra con bassorilievi, incassate nella muratura.
Nella parte superiore della facciata, al centro di questa e a pochi centimetri dalla lunetta del portale, si apre un’edicola che, pur mostrando le ferite del tempo, si fa ammirare; a guardarla dal basso si ha l’impressione che essa emerga dal capitello corinzio che ne costituisce la base come i fiori da un vaso. L’edicola oggi si presenta incorniciata da uno stipite in pietra che a destra è scanalato, tanto da configurare una colonnina ionica con sovrastante capitello decorato.
In alto, i due stipiti sono congiunti da una struttura ad arco con angeli in bassorilievo di cui i due centrali sorreggono la corona. All’interno di questa struttura vi sono scanalature che rappresentano una conchiglia che sostiene, come una volta, la struttura stessa.
Nella nicchia è inserita la statua di Celestino V che guarda i simboli papali poggiati su un tavolo, come se già ne avvertisse il peso.

Nella chiesa sono presenti otto altari così denominati:

– Maggiore, sotto il titolo di S. Pietro Celestino; anticamente di patronato della Confraternita del SS. Sacramento che aveva la gestione e l’amministrazione della chiesa. Sopra l’altare è presente un bassorilievo in stucco in cui sono rappresentati S. Benedetto e S. Pietro Celestino.
– S. Antonio Abate con la relativa statua;
– Padre Eterno con la statua seduta in legno;
– Madonna del Carmine con tela raffigurante la Madonna;
– Beata Vergine di Loreto con la statua omonima;
– Madonna del Rosario, con tela raffigurante i 15 misteri;
– Madonna di Costantinopoli con tela raffigurante la Madonna e tre Santi:
– Purgatorio, con tela raffigurante la Madonna e Santi

All’ingresso, su cui è sovrapposto la cantoria con antico organo, è ubicato in nicchia il Battistero del 1543 con stipiti, piedistalli e architrave in pietra ottimamente decorata e scolpita con motivi rinascimentali. Nell’architrave è scolpito un fregio con putti alati e un boccale sversante acqua, con chiara allusione all’acqua battesimale; sotto al fregio è raffigurata una colomba che rappresenta la Spirito Santo.
A S. Pietro Celestino è consacrata un’ altra chiesa nel territorio di Pratola Peligna, quella sita nella frazione Bagnaturo nei pressi della Abbazia di S. Spirito al Morrone. La chiesa, settecentesca, è ad unica navata.

Testo di Vincenzo Pizzoferrato

COME RAGGIUNGERLO
Piazzetta San Pietro Celestino, 67035, Pratola Peligna AQ