Lungo i Passi di Celestino V
TAPPA NUMERO 3:

San Bartolomeo di Legio

L’Eremo si sviluppa sotto un tetto di roccia lungo circa 50 metri; è bucato nella parte iniziale per permettere la discesa nella sottostante terrazza. Si tratta, pertanto, di una grande balconata coperta, a cui si può accedere tramite quattro scalinate: due alle estremità e due al centro. La scalinata nord, scavata nella roccia, è l’unica proveniente dalla parte superiore del vallone.

Ph. Del Monaco/parcomaiella

Superato in discesa il tunnel di ingresso, si accede alla lunga balconata, protetta verso valle da un muretto. Giunti al centro della balconata, incontriamo due scalinate che, separate da un muretto e da un pianerottolo, portano alla base dell’Eremo. La prima scalinata è incassata fra roccia e muro. Si tratta della Scala Santa che veniva percorsa solamente in salita, generalmente in ginocchio e pregando. La seconda scalinata parte dal pianerottolo di divisione e segue l’andamento della parete di roccia.

Ph. Del Monaco/parcomaiella

Proseguendo lungo la balconata, dopo circa 8 metri, essa viene interrotta per tutta la sua larghezza dal muro della chiesa. Sul fronte, a sinistra dell’ingresso, rimangono le tracce di un affresco raffigurante un ostensorio e, in alto, due riquadri con un Cristo e una Madonna con Bambino risalenti alla seconda metà del XIII secolo. Tali affreschi, oltre che dal tempo, sono deturpati dalle solite scritte ed incisioni. La porta è semplice, ad architrave orizzontale. La chiesa prende luce da una porta-finestra. In origine c’era un’altra finestra, ben visibile dall’esterno, murata in seguito per ricavarne una nicchia semicircolare. Fino a qualche decennio fa la statua di San Bartolomeo veniva riposta in questa nicchia. Sulla parete di fondo troviamo l’altare, nella cui nicchia semicircolare è riposto il Santo.

Ph. Del Monaco/parcomaiella

L’elemento più interessante e originale si trova a metà della parete di sinistra: una piccola risorgenza d’acqua al di sotto di un masso squadrato e internamente cavo. L’acqua, attraverso un foro laterale, va in una piccola vaschetta ellissoidale scavata nel pavimento. Da questa, tramite un canaletto, scorre fuori della chiesa perdendosi sulla roccia. È “l’acqua santa di San Bartolomeo” che non viene raccolta nella vaschetta acquasantiera, ma presa, tramite un cucchiaio, al di sotto della pietra; viene poi miscelata con l’acqua della sorgente sottostante l’Eremo.

A sinistra dell’altare una porticina introduce negli altri ambienti. Si tratta di una prima stanza con una finestra leggermente a strombo, da cui si accede al corridoio di uscita e alla seconda stanza. La seconda stanzetta presenta una finestra, un ripostiglio a base trapezoidale e un minuscolo camino. Al termine del corridoio si esce sopra un piccolo terrazzo che segna il termine della balconata. Qui inizia la scalinata sud, la più lunga e irregolare delle quattro, interamente ricavata nella roccia in maniera molto grossolana. Nella struttura muraria, sostenente la seconda scalinata centrale, si trova l’ingresso ad un piccolo vano sottoscala. Il campanile, costituito da due pilastrini che vanno a sfiorare la volta rocciosa superiore, è situato in corrispondenza della finestra. Davanti ad essa pende la corda della campana che, al loro arrivo all’Eremo, viene suonata dai devoti.

L’iconografia più usuale del Santo ce lo mostra con libro e coltello, rifacendosi alla tradizione che lo vuole martire in Oriente, scorticato vivo. Dal XIV secolo in poi, alcune rappresentazioni si rifanno invece a un’altra versione della sua morte, ossia per decapitazione. Nel XVI secolo infine, dopo che Michelangelo lo rappresenta nella Cappella Sistina con la propria pelle sul braccio, tende a prevalere questa iconografia (Bibliotheca Sanctorum, III, p. 854.)

La statua in legno del nostro Santo, bella nella sua raffigurazione paesana, ha la pelle sulla spalla sinistra e la testa che penzola attaccata ad essa: vengono così a riunirsi le due versioni della morte.

Non conosciamo con precisione la data di origine dell’eremo, ma è probabile che Pietro abbia restaurato un luogo di culto già esistente. Con molta probabilità Pietro da Morrone ricostruì l’Eremo poco dopo il 1250, visto che si tratta del primo ritiro da lui frequentato dopo S. Spirito. Sappiamo anche, seppure non con certezza, che il futuro Celestino V in compagnia di Francesco di Atri, Angelo di Caramanico, Nicolò di Serra e, secondo alcuni autori, di Berardo della Guardia, vi si stabilì intorno al 1274 per restarvi, più o meno stabilmente, fino al 1276: ipotesi avvalorata dai suoi frequentissimi viaggi fra eremi e monasteri della Majella e del Morrone. In ogni caso, vi andò molto spesso per ritrovare i suoi poveri romiti anche in qualità di priore dell’Ordine da lui fondato. Vi ritorna per un altro dei suoi frequenti periodi di vita eremitica, ma, per l’eccessivo disturbo causatogli dalle frequenti visite dei pellegrini, preferì, negli anni successivi, trasferirsi in San Giovanni d’Orfento, luogo più impervio e isolato del precedente. In merito all’appellativo Legio, abbiamo diverse versioni che figurano negli atti del suo processo di canonizzazione: Ligio, Logio, Eligio e ad Rivum Frigidum. Lo stato di conservazione dell’Eremo è abbastanza buono, probabilmente per la vicinanza ai paesi della zona, il che ha determinato una frequentazione continua con la conseguente cura delle strutture.

La zona d’influenza di San Bartolomeo è abbastanza ristretta, limitandosi ai paesi vicini; si fa eccezione per il periodo in cui traevano a frotte i devoti a raccogliervi l’acqua e spargerla nelle vigne per guarirla dalla peronospora (G. Pansa, Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, p. 131). Rari gruppi provengono ancor oggi dalla zona frentana. In verità, nella zona di Roccamorice, non si ha neppure il ricordo della decantata virtù dell’acqua santa di San Bartolomeo, sebbene siano trascorsi solo pochi decenni. Ma ciò non deve meravigliare, visto che molti non riescono neppure a spiegare la presenza di un coltello nelle mani del Santo, ignorando totalmente che è il protettore dei macellai e dei conciatori. Il vero nome dell’apostolo è Natanaele, figlio di Tolomeo, come specifica il patronimico con cui è arrivato fino a noi: Bartolomeo, ossia l’ebraico bar (figlio) Tolmai. Si festeggia il 25 agosto. Più esattamente, tale festività venne fissata nel 1568 dal Calendario Romano al 24 agosto, mentre in precedenza, e fin dal nono secolo, cadeva piuttosto il 25 del mese. Nonostante i ripetuti sforzi dei parroci di Roccamorice di riportare tale festività al 24, i devoti hanno continuato, imperterriti, nella loro antichissima tradizione del 25. Alcuni ricordano che si partiva la sera verso le cinque e, giunti all’Eremo, ci si confessava. Si trascorreva la notte tra l’Eremo e la sorgente nel vallone, e, nella zona, nasceva quasi spontaneo un piccolo mercato di frutti di stagione: cocomeri e fichi. Al mattino si ascoltava la messa e si faceva la comunione. Per andare a prendere l’acqua si scendeva la scala sud, mentre alcuni risalivano in ginocchio, pregando, lungo la Scala Santa. L’acqua sorgiva della Sorgente del Catenaccio la si mescolava poi con l’acqua benedetta raccolta nella chiesa.

Il mattino del 25, dopo la messa, il Santo veniva prelevato e portato in braccio da una sola persona, a turno. Prima dell’ingresso in paese, nella contrada Pagliai, la statua veniva sistemata su una portantina sostenuta da 4 persone, quindi portata alla chiesa parrocchiale dove rimaneva per circa un mese. Il ritorno all’Eremo avveniva in tono dimesso: il prete e pochi fedeli.

Testo di Edoardo Micati

COME RAGGIUNGERLO

In auto: (ca 4 km da Roccamorice) in paese seguire, per 4 km, l’indicazione per l’Eremo di S. Spirito. 50 metri dopo aver superato il bivio che conduce a Passo Lanciano, si parcheggia l’auto.

A piedi: si prende una strada bianca che dopo alcune case e un complesso pastorale in pietra a secco scende verso sinistra. Proseguendo sulla strada bianca, dopo aver costeggiato alcuni campi, poco oltre l’incrocio con una carrareccia che viene da destra, si devia nettamente a sinistra dirigendosi verso il ciglio del vallone. Cento metri di ripido sentiero portano ad una croce in ferro posta sul sentiero proveniente dalla contrada Pagliai; lo si segue risalendo la valle e si giunge all’eremo.