Lungo i Passi di Celestino V
TAPPA NUMERO 12:
Cattedrale Cappella Celestiniana
Nella chiesa cattedrale di S. Pietro Apostolo di Isernia, tutta la cappella laterale di destra rappresenta nel suo insieme un magnifico monumento a S. Pietro Celestino; esso è stato costruito piuttosto recentemente, dopo la traslazione in Isernia delle spoglie di Papa Celestino avvenuta nel 1986.
C’è da dire che nella chiesa Cattedrale vi è sempre stato un altare dedicato al Santo di Isernia; infatti ricaviamo dalla descrizione della Cattedrale contenuta nella famosa perizia del regio ingegnere Vetromile del secolo XVIII, che la famiglia De Grecis aveva lo jus patronato della cappella con altare dedicato a S. Pietro Celestino; questa cappella, purtroppo demolita, era la prima nella navata di destra ed aveva sull’ altare “di fabbrica” un dipinto raffigurante Celestino.
La cappella celestiniana che adesso possiamo ammirare è stata costruita dopo la traslazione delle spoglie del Papa Santo del 1986, che rappresentò per la città un momento di grande gioia e di partecipazione. La cappella celestiniana è un monumento sacro, per tutto ciò che vi è rappresentato e per i sentimenti che sprigiona, in una suggestiva ambientazione.
L’ingresso della cappella sorge sul podio del tempio pagano sottostante; prima di entrare nel sito celestiniano si incontra a sinistra, racchiusa in una grossa teca di vetro, la statua lignea della Madonna del piede (dialettale “ru pére”=l’albero) così chiamata perché spesso la Vergine viene raffigurata sopra un albero. La statua, che originariamente era in una chiesetta rupestre in contrada Riporsi, ai confini con il comune di Sant’Agapito, è un vero capolavoro del barocco meridionale del XV secolo. Sembra quasi che la Madonna, con la sua dolcezza, inviti ad entrare nella cappella per godere della vita santa di Celestino.

La grande urna di vetro che fa da altare è quella che servì per il trasporto e la sosta dei resti del nostro Santo nel 1986; sono presenti anche alcuni cimeli, alcune reliquie e fra queste un frammento osseo.
Si possono ammirare anche una vetrata dello Spirito Santo e una scultura dell’Ordine dei celestini. Infine si può ammirare una grande parete rustica che rappresenta una grotta, simbolo di penitenza del nostro Santo; dalla parete, costruita con pietre portate da monte Marrone, sporge un masso che idealmente rappresenta la pedana di lancio che permise a Celestino di volare in cielo.
Ricordiamo infine che Papa Celestino V, nel viaggio di trasferimento da L’Aquila a Napoli per volere di Carlo II d’Angiò, volle fermarsi nella città di Isernia (tappa non prevista), dove sostò il 14 e 15 ottobre del 1294; in quella occasione fece dono alla sua città natale di due preziosissime croci processionali, che ancora si conservano nel tesoro della Cattedrale.
Monastero di Santo Spirito – Isernia
Purtroppo di questo monastero, fatto edificare da Pietro Angelerio (che fu Papa Celestino V) a Isernia, sua città natale, non resta nessuna traccia, giacché tutta l’area su cui sorgeva è stata completamente urbanizzata, compresi i giardini e la cinta muraria della quale alcuni tratti erano ben visibili fino a qualche anno fa. Il monastero fu costruito nel 1272 sotto la guida di Fra Placido, procuratore generale della congregazione dei celestini; esso era ubicato in località Ponte dell’Arco, nelle vicinanze del tratturo Pescasseroli-Candela che passava per Isernia; i pastori provenienti dall’Abruzzo, dopo aver sostato nell’area di “riposo” ove è attualmente la villa comunale, si incamminavano verso la vallata del fiume Carpino per proseguire verso colle La Guardia, fonte Salomone, Castelpetroso e quindi verso la Puglia. Per quanto concerne le notizie riguardanti la costruzione del sodalizio celestiniano di Isernia, riportiamo la traduzione fatta da don Faustino Avagliano della prima pergamena del fondo del monastero custodito nell’archivio della biblioteca dell’Abazia di Montecassino: “Il Giudice Filippo Beneventi, nato e abitante ad Isernia, e sua moglie Glorietta, donano a fra Placido, procuratore della chiesa di S. Spirito della Maiella, nell’interesse di detta chiesa, una vigna situata in località detta Ponte dell’arco, perché i monaci della chiesa di S. Spirito della Maiella vi costruiscano una chiesa dedicata allo Spirito Santo. Nel caso che tale chiesa non venisse costruita o anche «si ipsi fratres a regula cessarent», la vigna ritorni liberamente ai donatori o, in mancanza di loro eredi, la donazione vada all’ospizio della chiesa di S. Giovanni (dei Gerosolimitani).
Giudice: Filippo (SJ)
Notaio: Giovanni (ST)
Dopo più di tre secoli, nel 1623, i monaci celestini furono costretti ad abbandonare il complesso di Ponte dell’Arco per le pessime condizioni in cui versava dovute al fatto che esso veniva continuamente assalito dai ladroni, essendo dislocato fuori le mura della città. I monaci si rifugiarono quindi in Isernia dove, come vedremo, costruirono un nuovo cenobio.
Ricordiamo che all’esterno dell’area del monastero di Santo Spirito
nella parte a valle verso il fiume Carpino, esisteva una chiesetta non di pertinenza di detto monastero, ma costruita per ben altri scopi; era la chiesetta della Sanità così chiamata perché accoglieva i malati durante le epidemie; essa fungeva praticamente da lazzaretto. La gente del posto la chiamava la cappelluccia degli ammalati e sull’altare vi era un quadro in cui erano raffigurati la Madonna e il bambinello Gesù, entrambi con le mani protese in avanti per scongiurare il diffondersi del morbo. Attaccata alla chiesa vi era un fabbricato, che non doveva essere tanto piccolo, dove si ricoveravano i malati gravi che venivano curati, ma purtroppo, com’è facile immaginare, con scarsi risultati positivi. Durante il bombardamento del 1943 il complesso venne colpito e quasi distrutto completamente; sono visibili adesso solo i ruderi della vecchia chiesa, niente rimane del lazzaretto. Da una vecchia foto si vede distintamente tutto il complesso della chiesa della Sanità e si vedono anche i ruderi del muro di cinta del confinante monastero celestiniano di S. Spirito, a testimonianza del fatto che resti di quest’ultimo cenobio erano ancora visibili fino ad epoca piuttosto recente.
Testo di Fernando Cefalogli