Lungo i Passi di Celestino V
TAPPA NUMERO 14:
Il Molino dei Celestini di Pratola Peligna (AQ)
All’ingresso di Pratola Peligna, scendendo dalla statale 17, appena dopo il Ponte sulla Ferrovia Pescara-Roma, è ubicato il Molino dei Celestini, attualmente sede del Museo della Civiltà Contadina che fu inaugurato il 20 agosto 1995.
Il già molino dismesso alla fine degli anni cinquanta, ha assolto nei secoli egregiamente la propria funzione. Fu edificato in epoca non precisata, verosimilmente intorno al 1400 dai Celestini, “ gli utili signori” di Pratola e ad essi appartenne finchè l’Ordine fu soppresso dalle leggi napoleoniche eversive del feudalesimo. Era il 1807.
I Celestini, che tanta parte hanno avuto nella storia di Pratola Peligna, non sempre positivamente, comunque portarono il loro contributo per la bonifica delle redditizie contrade agricole e costruirono il molino per soddisfare le esigenze della popolazione pratolana, oltreché per trarne reddito.
Durante il lungo periodo feudale, numerosi furono i momenti in cui i rapporti fra i pratolani e la Badia di S. Spirito del Morrone vennero in contrasto.
La gestione del molino ingenerò uno dei motivi degli annosi contenziosi tra pratolani e Celestini, contenziosi dal forte clamore, fino a giungere all’attenzione del Sacro Regio Consiglio.
I Celestini avevano il dominio assoluto del molino usufruendo pure, dello ius proibitivo, derivante da antichi poteri feudali, che non consentiva ai pratolani di realizzare altri mulini o di utilizzare quelli dei paesi vicini. Per l’uso agricolo delle acque della forma, primariamente necessaria per l’attivazione delle macine, per il lavaggio dei panni nel lavatoio pubblico adiacente la forma e per l’abbeveraggio degli animali i Celestini esigevano dalla Università la tassa annuale, pari a 12 ducati. La stessa Università era tenuta alla cura e manutenzione della forma e dello “scerto” (paratìa), sbarramento in legno che consentiva il prelevamento delle acque dal fiume Sagittario.
Accanto al molino la Badia possedeva una conceria per la lavorazione delle pelli.
Il molino di Pratola ha avuto sempre una fondamentale importanza per la zona, ma ha avuto un’importanza anche per le altre popolazioni della Valle Peligna; esso, il più grande del comprensorio poiché dotato di due macine, una per il grano e l’altra per il granturco, fu potenziato agli inizi del XVII secolo, perché utilizzato anche dagli abitanti di altre zone, e precisamente, dal 1602 dai cittadini di Popoli che si ribellarono alla decisione dei Cantelmo, signori della cittadina, di aumentare considerevolmente la tassa sul macinato nel molino locale. I popolesi presero la decisione di boicottare il molino locale per costringere il feudatario ad abolire la tassa sul macinato e di servirsi di quello dei Celestini di Pratola, che, in conseguenza delle accresciute richieste, fu dotato della terza macina, giungendo quindi ad essere dotato di due macine per il grano e una per il granturco .
Una iscrizione, fortunosamente recuperata agli inizi degli anni Settanta, attesta che il molino attuale fu fondato nel 1637; certamente la data si riferisce alla fondamentale ristrutturazione dello stesso, con radicale trasformazione dalle fondamenta per l’adeguamento alle nuove esigenze.
Dopo l’abolizione della Congregazione dei Celestini il molino passò in proprietà al Comune di Pratola Peligna, che ne ha sempre affidato la gestione ai privati.
L’ultima famiglia dei mugnai è quella dei Silvestri, tanto che è ancora conosciuto come “Lu Mulòine de Laurine “ (Molino di Laurino), la cui fotografia è esposta nel Museo, accanto a quella dei suoi fratelli, che gestirono l’altro molino di Pratola in Via del Rio, il Molino dell’Arena, più conosciuto come “il molino del tic-tic”, dall’onomatopea del grano che cade nella tramoggia .
Il Molino Celestino è strutturato in due piani: le tre macine, ben conservate, sono naturalmente situate al pianterreno ed avrebbero bisogno solo di un intervento per la ricostituzione delle tramogge; intorno alle macine sono presenti i vari oggetti necessari per la lavorazione del grano e del granturco, per la pesa e per gli altri usi.
Nei dettami di giusta e mirevole economia di acque, campagne ed industria il fiume Sagittario, attraverso una forma ad esso innestata, veniva utilizzato per l’irrigazione dei campi adiacenti; quindi l’acqua, dopo l’uso agricolo, era convogliata verso il molino in qualità di energia; di nuovo diligentemente raccolta tornava a bagnare i terreni oltre il molino. Sulle rive del canalone multifunzionale, dette “i parète” (le pareti), fino a pochi decenni or sono, le filatrici stendevano ” a curare” i loro manufatti artigianali.
Dopo tanto aver benservito le esigenze dell’uomo, il canale o forma, che dir si voglia restituiva le acque al Sagittario per non corromperne il regime.
Il molino e la forma vengono citati in moltissimi atti .
Ne trascriviamo qualcuno fra quelli regestati in “Abbazia di Montecassino , I regesti dell’Archivio, a cura di Tommaso Leccisotti , Roma , 1966 , vol. III , p. 367” :
889 (2439). 1481, agosto 5, ind. XIV., XXIV, Ferdinando I, Pratola.
Fra Stefano da Lecce, abate di S. Spirito presso Sulmona, il camerario e i massari di Pratola a nome dell’università e degli uomini vengono ad un accordo, redatto il lingua volgare , circa la manutenzione e il governo della forma del molino di Pratola.
Giudice: Francesco di Cecco di Domenico.
Notaio: Domenico di Giacomo di Antonio di Ortona da Raiano. (ST)
980 (1913). 1512, agosto, ( S. Spirito presso Sulmona ).
L’abate e il priore di S. Spirito presso Sulmona, col consenso di tutti gli ufficiali, concedono ad Antonio de Renzo Contro, molinaio nel molino di Pratola , due opere e mezza di terre in località detta Valle di Lago , per i servizi resi e da rendere nel detto molino, con l’annuo canone di due quattrini per ogni opera, nella festa dell’Assunzione.” (Ibidem , vol., IV, p. 17).
1412 (2426). 1577 (1576), novembre, ind. VI., Filippo II re, Pratola .
Tommaso di Paoluccio da Pratola, tutore di Santella e Caterina del fu Berardino di Berardo, vende ad Antonio di Innocenzo, anche da Pratola, in nome delle sue pupille e proprio, quattro centenara di cannapina nel territorio di Pratola, dove si dice Lo Molino, pel prezzo di dieci ducati, per riscattare l’eredità del detto Berardino, devoluta al monastero a causa della mancanza di eredi maschi.
Giudice: Piero di Pietro; manca la sottoscrizione.
Notaio: Valentino di Pietro. (ST) ( Ibidem, vol. IV, p. 195).
1576 (2368). 1588, settembre 13, ind.II., Filippo II re, Pratola.
Donato Di Benedetto da Pratola sottopone ad un annuo censo di ducati sei per un capitale di ducati sessanta una casa sita in Pratola ed un pezzo di terra cannapinata in località “a La Via del Molino”, dandoli a notar Giovanni Sante Paolino da Sulmona, con riserva dei diritti spettanti al monastero di S. Spirito del Morrone, mentre gli altri ducati ventuno e rotti che lo stesso Donato doveva a notar Giovanni gli vengono da questi rimessi, col patto però che, morendo esso Donato senza figli, la donazione sia nulla.
Giudice: Pietro di Pietro. (SI)
Notaio: Ercole Turrinazio da Raiano. (ST) (Ibidem, vol. IV, p. 259).
1682 (1676). 1593, settembre 8, …Pratola.
Porzia figlia di Domenico di Gesmundo da Pratola e moglie di Giovanni di Lorenzo Presutto, col consenso del marito, vende ad Antonio de Pace della stessa terra tre centenara in circa di terra cannapinata nel territorio di Pratola, in località “a Lo Molino”, pel prezzo di ducati dodici con riserva dei diritti e della quartaria spettanti al monastero di S. Spirito del Morrone.
Giudice: Domenico di Sante de Presutto. Notaio: Pietro de Stefanis. (ST) (Ibidem, vol. IV, p. 302).
Testo di Marco Antonio Petrella